2.
LA RAGAZZA DAI CAPELLI ROSSI
Sandra
Stare in spiaggia con loro era molto piacevole. Fredrik ogni tanto ci portava un gelato o una bibita e l’ombra delle sue spalle larghe e ossute si proiettava su di noi. A Karin piaceva parlare della Norvegia, della bella casa che avevano in un fiordo e che un tempo era stata una fattoria. Non ci andavano più per colpa del clima, l’umidità logorava loro le ossa. Però le mancava la neve, l’aria pura della neve azzurrina. Karin non era scheletrica come suo marito. Doveva essere stata magra da giovane e grassa in età matura; ora era un miscuglio di entrambe le cose, un miscuglio deforme. Ti osservava con un’espressione così indecifrabile, fra l’amichevole e il diffidente, che non sapevi mai cosa pensasse veramente. O meglio, quello che diceva doveva essere la centesima parte di ciò che pensava, come tutte le persone di una certa età che hanno vissuto molto e finiscono per godere solo dei dettagli, delle piccole cose. Non era strano che Karin portasse nella sua borsa di paglia un romanzo con una coppia che si baciava in copertina. Le piacevano molto le storie romantiche e a volte me ne raccontava qualcuna, per esempio fra un capo e la sua segretaria, un professore e un’alunna, un medico e un’infermiera o due che si erano conosciuti in un bar. Nessuna assomigliava alla mia con Santi.
Era piacevole farmi guidare. Passeggiavo lungo la battigia, dall’ombrellone dei norvegesi agli scogli e dagli scogli all’ombrellone. Non vomitai più, avevamo tutta l’acqua fresca che volevamo nella borsa frigorifero, una borsa di ottima qualità che non si trovava in Spagna. Quasi nessuno dei loro oggetti era spagnolo, a parte i parei di Karin, comprati in qualche bancarella sulla spiaggia.
Soprattutto, erano delle persone pacifiche. Si muovevano piano, non parlavano ad alta voce, non discutevano quasi, al massimo si scambiavano qualche opinione. Niente a che vedere con i miei genitori, che si perdevano in un bicchier d’acqua alla minima difficoltà. Ai miei non avevo neppure detto che ero incinta: non sarei stata in grado di sopportare un’altra delle loro tragedie. Per loro ogni occasione era buona per uscire di testa, per dare di matto. Forse era per questo che mi ero messa con Santi, semplicemente perché aveva un bel carattere, era mite e paziente. Eppure non aveva funzionato. Insieme a lui provavo l’intollerabile sensazione di stare perdendo tempo, e quello era uno dei motivi fondamentali per cui non riuscivo a immaginarmi al suo fianco da lì a un paio d’anni.
Io e i norvegesi andavamo in spiaggia solo una mattina ogni tanto, per cui non era un gran peso. Quando mi riaccompagnavano a casa a volte non scendevano neanche dalla macchina. Mi salutavano dal finestrino e mi lasciavano in pace.